Il rapporto dei laici con la Prelatura dell'Opus Dei alla luce della Costituzione Apostolica "Praedicate Evangelium"
La Costituzione Apostolica "Praedicate Evangelium" firmata da Papa Francesco il 19.03.2022 prevede che la prelatura dell'Opus Dei sia trasferita dalla Sacra Congregazione per i Vescovi al Dicastero per il Clero.
L'Art. 117 della Costituzione Apostolica recita:
Il Dicastero ha competenza su tutto ciò che spetta alla Santa Sede circa le Prelature personali.
Pubblichiamo qui il testo - tradotto in italiano - apparso sul sito Opuslibros che chiarisce perché questo cambiamento rappresenta un problema per la presenza dei laici nell'Istituzione in quanto dilata l'infondatezza della loro appartenenza alla prelatura.
L'Opus Dei al Dicastero del Clero
21 marzo 2022 – E.B.E.
L'Opus Dei,
per disposizione di Papa Francesco (Praedicate evangelium, n. 117) è
stata trasferita sotto la competenza dal Dicastero per il Clero. Tuttavia,
anche se per la maggior parte di coloro che cooperano in modo organico con
l'Opus Dei (cioè i soprannumerari), questa notizia non avrà il benché minimo
interesse, per il nocciolo duro dell’Opera, probabilmente sì. Nel 1982 Del
Portillo aveva affermato:
“l'unico
cambiamento è che l'Opus Dei, come le altre Prelature, ora dipende da un altro
Dicastero: la Sacra Congregazione per i Vescovi”.
Sebbene
questo non fosse l'unico cambiamento, Del Portillo voleva in quel modo equiparare
tacitamente l’Opus Dei alle diocesi, per il fatto che dipendevano da quel
momento in poi dallo stesso dicastero.
Bene, ora
non è più così...
L'Opus Dei, a differenza delle "altre
prelature", non dipende più dal Dicastero per i Vescovi, ma da quello per
il Clero. E questo è un bel problema, sebbene Ocariz voglia presentarlo come
qualcosa di positivo, sostenendo, con intento palesemente difensivo, che
"la sostanza non viene affatto modificata". Ma allora, se nessuna
modifica negativa c’è stata, sarebbe quindi un miglioramento? Ocariz non osa
affermarlo, perché sa che non è così. Ma se non sono stati apportati dei
miglioramenti e se non è stata modificata la sostanza, allora perché c’è stato
un cambiamento di Dicastero? A questa domanda non viene data alcuna spiegazione
convincente. È vero, non modifica la sostanza bensì la accentua: dilata l’infondatezza
dell’appartenenza dei laici alla prelatura. La riforma "dall'alto"
fatta da Francesco mette il dito nella piaga.
Il decreto PresbyterorumOrdinis (n. 10) e il motu proprio Ecclesiae Sanctae, a suo tempo,
avevano istituito le Prelature Personali per una migliore distribuzione del
clero; quindi effettivamente ha molto più senso che tali prelature dipendano
dalla Congregazione per il Clero e non da quella per i Vescovi.
Questa
modifica chiarisce che questa prelatura è un'istituzione di natura clericale e
associativa (cfr Iuvenescit Ecclesia, nota 116), certamente non
gerarchica, e ancor meno laicale.
La
prelatura personale, quindi, non è un'istituzione laicale che si serve del
ministero dei sacerdoti: è un'organizzazione clericale, in cui i laici
cooperano attraverso accordi contrattuali, cioè i laici sono al servizio della
struttura clericale e non il contrario, come siamo sempre stati portati a
credere, da Escrivá in poi.
La
Costituzione apostolica Praedicate evangelium (n. 104) di Papa Francesco
ha inoltre stabilito che gli Ordinariati Personali, a cui l'Opus Dei ha voluto
sempre assimilarsi, continueranno a dipendere dal Dicastero per i Vescovi, a
differenza delle prelature personali, lasciando ben chiaro così che si tratta
di due realtà molto diverse.
A questo
punto sorge spontaneamente una domanda: dove si collocano i laici dell'Opus Dei
in questo smottamento, in questa riorganizzazione? I laici, ovviamente, non
possono dipendere dal Dicastero per il Clero. Il che ci porta a pensare che
essi non appartengano, in senso stretto, alla prelatura personale (come già fa
intendere il Codice), ma si rapportano con essa attraverso accordi di
cooperazione. I laici sono, per così dire, dei contrattisti: non fanno parte
dell'Opus Dei, l’Opus Dei li contratta e recide il rapporto con loro, quando lo
ritiene opportuno.
Ciò non avviene con i sacerdoti, perché per
svincolare uno di loro, l'Opus Dei è obbligata a formalizzare la questione con
la Santa Sede. E quando Ocariz scrive che "molte delle questioni che la
prelatura tratta solitamente con la Curia Romana sono legate al suo
presbiterio", sembra implicitamente confermare che, pur essendo i
sacerdoti solo il 2%, sono proprio essi a costituire la vera sostanza della prelatura,
e in questo senso è corretto dire che non vi è stata alcuna modifica.
Come spiegare a qualcuno, a cui viene proposto di
chiedere l’ammissione come numerario (“pitare”), che entrerà a far parte di
un'istituzione che dipende dal Dicastero per il Clero? Costui risponderà:
"Non voglio farmi prete".
Così come prima che l’Opus Dei diventasse
prelatura personale, risultava difficile giustificare il fatto che essa dipendesse
dalla Congregazione dei Religiosi, pur essendo - a suo dire - un'istituzione
laicale, adesso sarà altrettanto difficile.
Quando, a suo tempo, Escrivá si vide costretto a
rifiutare la figura dell’Istituto Secolare, rispose con la sua lettera Non
Ignoratis. Ora sembra che invece si preferisca ignorare il problema.
Dunque la
spiegazione burocratica data dalla prelatura, nel suo comunicato, conferma e,
allo stesso tempo, elude il problema: l’infondatezza dell’appartenenza dei
laici alla prelatura.
Come è possibile adesso spiegare che nell'Opus
Dei non sono i sacerdoti a comandare, ma i laici? Non vi è alcun modo di farlo.
È finito il tempo delle false spiegazioni, la verità è venuta alla luce.
La condizione di precarietà dei laici all'interno
dell'Opus Dei, soprattutto dal 1982, è diventata più che chiara con questa
riforma, che assomiglia a un terremoto, per ora solo sotterraneo, non visibile
in superficie.
Potremmo spiegarci meglio la collocazione dei
numerari e degli aggregati all'interno della prelatura, se li consideriamo dei
seminaristi (almeno potenziali), ancor più se teniamo conto che il Catechismo
dell'Opus Dei (5°. Edizione, n. 44) dice: "Tutti i numerari e molti
aggregati sono normalmente disposti a ordinarsi sacerdoti, se invitati a farlo
dal Padre".
Il vero problema, invece, è dove collocare le
donne (numerarie e aggregate). Per non parlare dei soprannumerari (donne e
uomini), che sono i più laici tra i laici della prelatura.
Il Catechismo dell'Opus Dei, nella sua 8ª
edizione (n.9) dice che:
"I membri laici incorporati alla Prelatura
dell'Opus Dei non possono essere chiamati soci, né lo sono, perché, non essendo
la Prelatura un'associazione, ma un'istituzione di natura gerarchica, il
vincolo con la Prelatura non è di natura associativa ma di natura
giurisdizionale. Come accade anche in altri modelli di circoscrizioni
ecclesiastiche, ad esempio negli ordinariati militari o nelle diocesi, che non
hanno soci ma fedeli".
Tale
spiegazione è ormai diventata obsoleta e dovrà essere pubblicata una nuova
versione del catechismo che spieghi come l'Opus Dei non abbia una natura
gerarchica (cfr Iuvenescit Ecclesia, nota 116) né sia paragonabile agli
ordinariati militari o personali (Praedicate evangelium, n. 104).
Inoltre, è
probabile che l'Opus Dei dovrà creare un'associazione a cui far aderire i
laici, altrimenti il legame dei laici con la prelatura risulterà notevolmente
indebolito, poiché i laici non hanno nulla a che fare con il Dicastero per il
Clero.
È avvenuto ora qualcosa di molto
grave, così come quello che accadde quarant’anni fa, nel 1982, con l’erezione
della prelatura personale senza il “cum populo proprio”: ancora una volta, i
laici sono rimasti fuori dalla prelatura.
A cosa serve che i laici compiano
l’oblazione o la fedeltà? Perché non è sufficiente una dichiarazione
contrattuale? Perché è necessaria la dispensa del prelato, se per risolvere un
contratto basta la volontà di una qualsiasi delle parti?
Se la fedeltà genera un vincolo, che tipo
di vincolo è questo? Ma soprattutto, a cosa si vincolano quei laici che
compiono l’oblazione e la fedeltà? Per mettersi al servizio della prelatura
personale, non è necessaria né la fedeltà né l’oblazione, ma basta un accordo
di tipo contrattuale. Dunque?
L’Opus
Dei dovrà creare una pia unione o un’associazione simile dipendente dalla
prelatura personale, per riuscire realmente ad incorporare i laici con una
formula giuridica solida, altrimenti essi continueranno a rimanere in una
situazione precaria, che è il contesto ideale per situazioni abusive. A meno
che l’Opus Dei non dichiari che non è interessata ad incorporare i laici, ma
solo a contrattarli per i diversi compiti che voglia loro affidare. Ma, a quel
punto, dovrebbe lasciare da parte la fedeltà e l’oblazione, che hanno più a che
fare con un voto sacro, che con una relazione contrattuale, come è evidenziato
nel Catechismo dell’Opus Dei: “I membri incorporati all’Opera che lasciassero
la loro vocazione, senza avere ottenuto la dispensa necessaria, commetterebbero
peccato mortale” (Catechismo, 10ed., nro82)
Quello
che non si può fare è da un lato mantenere i laici in una situazione di
precarietà (attraverso un rapporto contrattuale asimmetrico, nel quale, se il
contratto lo rompe il laico, questi va incontro ad un peccato mortale, ma se lo
fa la prelatura, non vi è alcuna conseguenza), dall’altro, esigere da loro come
se si trovassero in un rapporto di dipendenza stabile e perpetuo (vincolo
sacro).
Non
è casuale quello che le ex numerarie ausiliari denunciano: si tratta della
stessa precarietà spirituale calata in ambito lavorativo.