La bellezza del "pezzo unico"


 Adista n. 44 del 11 dicembre 2021




Ci sono persone che non possono essere classificate secondo una logica binaria, che distingue gli esseri umani esclusivamente nei due generi femminile e maschile; è questo uno dei temi che la teologa Teresa Forcades ha affrontato durante la presentazione del suo libro Il corpo gioia di Dio. La materia come spazio di incontro tra divino e umano (Gabrielli Editori, 96 pp., euro 13; v. Adista Notizie n. 37/20) svoltasi a Verona il 30 settembre scorso, organizzata da Gabrielli Editori presso la Sala Africa dei Comboniani. Teologa catalana, monaca benedettina, Teresa Forcades si è fatta conoscere e apprezzare anche all’esterno del mondo cattolico per le sue posizioni innovative e stimolanti in materia di teologia queer e femminismo. Attivista politica internazionale, ha studiato medicina e teologia attraversando alcune delle più prestigiose università del mondo (da Harvard alla Humboldt a Berlino). Nel libro, la studiosa ripercorre alcuni dei capisaldi della sua visione sul corpo della donna, partendo dalla critica alla concezione dualistica e gerarchica del rapporto tra il corpo e lo spirito proposta dalla teologia dominante. La civiltà occidentale, spiega nel libro, ha dato vita a nuovi tabù che siamo chiamati oggi a superare, a partire naturalmente dalla Chiesa stessa. Forcades indaga gli aspetti ancora fortemente negativi della dottrina e della pastorale cristiana sulle donne, proponendo poi una lettura alternativa e costruttiva del Vangelo per suggerire nuove direzioni anche per il magistero, fino a giungere all’elaborazione di una proposta teologica, in cui prova a forzare alcuni paradigmi storici. La presentazione del libro a Verona avveniva proprio nei giorni in cui si sperava ancora che il disegno di legge Zan diventasse legge dello Stato; lo scopo del Ddl era quello di ampliare la cosiddetta “legge Mancino”, inserendo accanto alle discriminazioni per razza, etnia e religione anche le discriminazioni per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Come sappiamo, il Ddl è stato bocciato in Senato il 27 ottobre scorso. Qui di seguito una parte significativa dell’intervento della teologa, raccolto da Emanuela Provera. (l.e.) 

Ogni 100 persone ce n’è una che non si sente a suo agio perché ha un corpo che non si può classificare in modo binario: ha un cromosoma xxy, cioè una genitalità ambigua, oppure una gonade che è mezzo-ovaio, mezzo-testicolo (ovo-teste) o ancora un ovaio da una parte e un testicolo dall’altra. Se anche questo si verificasse per 1 sola persona tra 100 milioni al mondo per me, come teologa, è sufficiente per cambiare la “teoria sulla persona”. La teoria è per la persona, non la persona per la teoria, così come Gesù disse che il sabato è per l'uomo e non viceversa. La teologia, quindi, deve adattarsi alla realtà dell’antropologia e alla realtà della diversità sessuale, che riguarda non solo l’orientamento sessuale ma anche il corpo. Cosa facciamo di questo 1%? Lo consideriamo patologico? Vogliamo fare questo, cioè considerarlo qualcosa di sbagliato che deve essere corretto chirurgicamente? Se questo corpo [con cromosoma xxy] può godere, può esistere in una forma piena senza avvertire dolore, perché correggerlo? Forse sapete già che esistono gruppi di persone intersessuali molto dispiaciute perché, quando erano piccole e non potevamo scegliere autonomamente, sono state sottoposte a operazioni chirurgiche che le hanno rese dicotomiche; durante l’intervento chirurgico è stato loro rimosso il tessuto più sensibile degli organi sessuali, con danno alla possibilità di avere un orgasmo pieno, cioè nello stesso modo in cui lo avrebbero provato se non fossero state operate. Quando studiavo medicina mi dissero che se un bambino nasce con un organo genitale lungo più di 2 cm questo si può chiamare pene, è un micro penis; invece, se l’organo genitale ha lunghezza minore di un cm è considerato un clitoris. Ma che succede se l’organo genitale ha una lunghezza tra 1 cm e 2 cm? Si taglia. Non mi fu detto per ridere o per scherzo, ma seriamente, era un consiglio, una ipotesi di lavoro; per evitare che il bambino soffrisse per avere un pene corto, si consigliava di fare il taglio e di somministrare gli ormoni femminili. Esistono oggi associazioni di persone diventate adulte che si chiedono con rammarico perché sia stato fatto questo sui loro corpi, persone che avrebbero potuto vivere felicemente, in pienezza, senza essere normativamente dicotomiche. 

Io non credo che la differenza maschio/femmina sia antropologicamente essenziale; è una differenza che esiste per la maggioranza degli individui. Ma la maggioranza non fa la normatività. Il fatto che una configurazione anatomica non appartenga a tutti è una benedizione, magari non per la persona che la vive perché può diventare un problema o una sofferenza… Ma se qualcuna di loro afferma di essere felice è una benedizione per tutti noi: incarnano nel proprio corpo la non essenzialità del genere e della dicotomia sessuale. Non bisogna essere dicotomico per essere pienamente umano, felicemente umano, non patologicamente umano; questo mi sembra il messaggio più importante quando io parlo della teologia queer e questo è ciò che significa per me la teologia queer. Credo cioè che Dio pensa a ciascuno di noi come pezzo unico, essenzialmente inclassificabile. Solo superficialmente è possibile affermare che tu sei maschio o femmina, tedesco o italiano, alto o basso, così per tante altre categorie; ma questa classificazione non è essenziale, ciò che conta è il carattere essenziale e originale dell'essere personale, la singolarità personale. Quando si vive una relazione d'amore ci si sente amati sempre come singolo, io amo te o non l'altro. Quando sei amato, ti vedi come singolare pezzo unico, perché l’altra/o ti sceglie così; la teologia queer, quindi, mi pare una chiamata per tutti a guardare l'altro e a noi stessi come pezzi unici.


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