(II) EBRAISMO - LA CONDIZIONE FEMMINILE, VARIEGATA E IN EVOLUZIONE
Intervista di Emanuela Provera a Rav Haim Fabrizio Cipriani
pubblicata sulla rivista Adista n. 26 del 10 luglio 2021
[Anno LV - Suppl. al n. 6553]
parte II
Haim Fabrizio Cipriani è nato a Genova. Il suo rabbinato affonda
le radici nella tradizione italiana e chassidica. Ha studiato presso il
Collegio Rabbinico Italiano e ha ricevuto la tradizionale ordinazione rabbinica
dalla Yeshiva Ateret Tzvi, della scuola del grande rav Shlomo Carlebach, oltre
che dal New Yorker Rebbe, Joseph H. Gelberman e il Rabbinical Seminary
International di New York. Attualmente
è rabbino presso la comunità ebraica ULIF di Marsiglia e Visiting
Rabbi presso la comunità Kehilat Kedem di Montpellier.
1) Che
cosa è il rabbinato e da dove, il rabbino, deriva la
sua autorità? il ruolo, nel tempo, ha avuto qualche evoluzione e
di che tipo? L'accesso delle donne al rabbinato è una
trasformazione in pienezza di questo ufficio oppure uno
sviluppo controverso?
Il rabbinato è un'istituzione che nasce intorno al I sec. con il declino dell'ebraismo biblico di tipo sacerdotale e le relative istituzioni, in primis il Tempio di Gerusalemme.
L'istituzione del rabbinato vuole essere essenzialmente meritocratica in quanto basata esclusivamente sui meriti di studio, laddove il sacerdozio era basato sull' appartenenza a un gruppo tribale e quindi al lignaggio. L’autorità dei rabbini era dapprima basata su una catena di trasmissione che si collegava direttamente a Mosè, considerato il primo dei grandi maestri. Col tempo questa nozione si è affievolita, e il titolo rabbinico ha preso il significato di un’autorizzazione all’insegnamento che un rabbino più anziano dava uno da lui formato ed esaminato. All'inizio i rabbini erano fondamentalmente depositari di tradizioni in massima parte orali, e funzionavano un po' come enciclopedie viventi. Più tardi, e in particolare a partire dall’epoca medievale, il rabbino diventa sostanzialmente un esperto in legge ebraica, e questo sarà il suo ruolo essenziale. In epoche più recenti, l'allontanamento della stragrande maggioranza degli ebrei dalle modalità tradizionali di vita ebraica ha fatto sì che il ruolo del rabbino come esperto in legge ebraica sia divenuto in parte obsoleto, in quanto tale legge è diventata in gran parte irrilevante per molti ebrei. Il rabbino svolge quindi sempre di più le funzioni di consigliere e accompagnatore spirituale degli individui, ebrei o non ebrei vicini alla comunità ebraica.L'accesso delle donne al rabbinato è effettivamente controverso e si è sviluppato nell'ultimo secolo in maniera progressiva, arrivando ad essere accettato anche in una minoranza di ambiti ortodossi moderni, che spesso però a causa di questa scelta vengono rigettati da altri tipi di ortodossia più stretta. In ambiti progressisti invece è ormai una realtà piuttosto affermata, anche se non tutte le comunità ebraiche, perfino all'interno di questi movimenti modernisti, sono realmente pronte a questo cambiamento. Ciò deriva in gran parte dalle differenze di provenienza geografica e culturale degli ebrei, che determinano vari gradi di apertura a questo tipo di evoluzioni.
2)
La ricchezza e la complessità delle tradizioni
monoteiste sono un patrimonio unico nella storia del genere umano e nella vita
degli individui. L’esperienza condotta in Italia da Rav Haim Fabrizio Cipriani
è una realtà importante di come “Il paradigma fondamentale su cui l’ebraismo si
costruisce è quello dell’uscita dall’Egitto, non tanto come fatto storico, ma
come possibile liberazione individuale e collettiva dai vari tipi di
costrizioni e limitazioni che riducono la nostra facoltà di scelta e di azione”[1].
È noto però che nella storia ci siano state contaminazione tra religione e
violenza, originate dalle derive di atteggiamenti integralisti. È condivisibile
pensare che anche l’ebraismo al pari degli altri monoteismi contenga in sé i germi
del fondamentalismo oltre a quelli del cambiamento?
Ritengo
sia un pensiero del tutto condivisibile. Ma va secondo me analizzato con cura,
e mi permetto di farlo attraverso due esempi tratti dalla letteratura biblica.
In
Gn. 24, due dei figli di Giacobbe, Shimon e Levi, sterminano l’intero clan
cananeo di Shechem, accusato di aver usato violenza alla sorella Dina. In
realtà dal passo non appare con chiarezza che vi fosse violenza, e Shechem aveva
addirittura proposto un’alleanza con il clan di Giacobbe. Egli sembra voler
costruire una relazione seria, e accetta di circoncidersi insieme ai suoi per
dimostrare la sua volontà di unione col clan di Giacobbe. Ma Shimon e Levi useranno
la debolezza della convalescenza di questo gruppo per colpire a morte. Un atto
ingiustificabile e violento, che è raccontato in modo neutro ma deplorato molto
più in là, in un contesto dove spesso non viene notato, ossia nella
“benedizione” che Giacobbe impartisce ai figli prima di morire, dove condanna
aspramente Shimon e Levi: “Shimon e Levi: fratelli, strumenti di violenza, i
loro coltelli! Nel loro segreto non verrai, essere mio! Non ti unirai alla loro
adunanza, presenza mia! Perché nella loro collera hanno ucciso uomo, con la
loro volontà hanno sradicato toro. Maledetta la loro ira perché violenta, e la
loro collera perché crudele! Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in
Israele.”[2]
In
un altro caso, il sacerdote Fineas sembra placare l’ira divina trafiggendo
pubblicamente un ebreo e una midianita che stanno unendosi in quella che sembra
essere una forma di orgia cultuale pagana a cui tutto il popolo ebraico partecipa.[3]
Ma questo singolare episodio viene poi reso diversamente dai Salmi, dove
leggiamo: “Ma Fineas si alzò, pregò e il flagello cessò.”[4]Anche
in questo caso, l’episodio è narrato in modo piuttosto neutro, e pochissimi si
rendono conto della rilettura offerta dal Salmo 106.
Gli
esempi potrebbero essere numerosi, ma mi interessa sottolineare che la Torà
stessa contiene volutamente i germi del fondamentalismo ma anche i suoi
possibili antidoti, come l’uso della parola in luogo della violenza, oltre a una
capacità critica molto forte, esercitata anche all’interno dello stesso gruppo.
A
mio modesto avviso l’aspetto fondamentale è che in questo modo la
tradizione nelle sue espressioni più nobili è usata per indebolire e
relativizzare le parti più problematiche della tradizione stessa.
Un altro
aspetto importante è relativo al modo in cui la Torà dipinge l’immagine divina,
spesso vista con sguardi superficiali come “vendicativa” o “violenta”. Si
tratta di un’approssimazione molto scorretta che è anche il frutto di forme di
manipolazione antiebraica portate avanti nei secoli. Il fatto che sia la
Trascendenza divina a farsi carico di azioni talvolta violente, come le Piaghe
d’Egitto o simili, è un modo di deviare il fondamentalismo umano lasciando alla
divinità il compito eventuale di agire. A lato di questo invece non dovremmo dimenticare
poi che al cuore della Torà vi è l’ingiunzione del Levitico “amerai il tuo
prossimo, che è come te”, le ventisei volte in cui si chiede di amare lo
straniero, le mille richieste, che hanno valore legale, di assistere chi è più
debole.
La realtà è
che la Torà corrisponde a un progetto molto vasto di educazione dell’umano a
partire da una visione per nulla idealizzata, che prende in conto quindi anche
i suoi aspetti più oscuri e prova a indicare una direzione di crescita senza
mai negarli.
Sta
all’essere umano poi scegliere liberamente quali semi coltivare, dal momento
che è in grado di assumersi la responsabilità delle proprie scelte.
3) L’ebraismo nasce
sulla Parola, trasmettendosi, per un certo tempo, alle generazioni successive
solo oralmente. In epoche successive la Parola viene trascritta in un testo, la
cui lettura non è mai dogmatica perché costantemente interpretato in modi
differenti. Come mai anche in questo contesto aperturista si genera il
fenomeno dell’integralismo religioso?
Credo che ciò avvenga perché l’essere umano tende a
scegliere sempre il cammino più estremo, che solitamente è il più semplice,
perché elimina le sfumature intermedie. L’ebraismo è una cultura umana forgiata
da persone che, come la media degli esseri umani, tendono a dogmatizzare,
assolutizzare, conservare per timore del cambiamento. Malgrado ciò, credo vada
riconosciuta all’ebraismo la forza di aver contenuto queste forze,
relativizzandole e indebolendole al massimo. Questo fa sì che l’integralismo
religioso ebraico sia un fenomeno minoritario, e peraltro spesso poco attivo in
pratica. Anche dal punto di vista strettamente religioso oggigiorno l’ebraismo
organizzato è costituito in massima parte da gruppi piuttosto progressisti,
mentre quelli ortodossi e ancor più ultraortodossi costituiscono una minoranza.
Parlo dell’ebraismo organizzato perché molti ebrei (circa la metà, sembrerebbe)
sono del tutto lontani da ogni forma di organizzazione religiosa ebraica, di
conseguenza si sottraggono a un’analisi di questo genere.
Si tratta di un terreno molto complesso, perché ciò che chiamiamo ebraismo è un costrutto culturale elaborato nel corso dei secoli, che non ha ma cessato di trasformarsi ed è in costante movimento. Come ho sviluppato in modo approfondito nel mio libro “Ascolta la sua voce”, nella Torà troviamo prima di tutto l’affermazione fondante di una pari dignità della donna, che viene creata insieme all’uomo e non dopo, come erroneamente affermato a partire da alcuni passi del Secondo Testamento cristiano. Senza dubbio vi è uno scarto importante fra la posizione sociale e la considerazione di cui godevano le donne in epoca biblica e in epoca talmudica.
Nonostante
il fatto che nella società biblica la donna fosse fondamentalmente una figura
socialmente bisognosa di protezione per la sua fragilità, e questo era compito
del marito, le donne della Torà sono estremamente attive e potevano occupare
posizioni influenti.
Le
matriarche guidano i patriarchi con consigli e talvolta molto di più. La
seconda matriarca, Rebecca, è vista da alcuni come un vero e proprio sostituto
di un secondo patriarca fragile e assente, Isacco. Poi vi sono profetesse come
Miriam, Chuldà e Deborà, che è anche giudice e capo militare. Oltre a loro il
Talmud cita come profetesse anche Sarà, Channà, Avigàil ed Estér. Due libri
biblici portano peraltro il nome di due donne, Rut ed Ester.
Ma
con l’inizio dell’epoca post-biblica qualcosa cambia, e nella letteratura
rabbinica si moltiplicano le letture che invitano le donne a limitarsi alla
vita domestica, consigliando inoltre agli uomini di ridurre al massimo le
conversazioni con le donne. Tutto
questo porterà a una condizione di alienazione e solitudine della donna, ben
espresso dal Talmud con queste parole: “Avvolta come chi piange in lutto,
alienata dal mondo e chiusa in prigione.”[5] Molti ritengono oggi che la cultura
ellenistica sia in buona parte responsabile di tale cambiamento. Dopo la
conquista di Alessandro Magno nel IV secolo a.e.v., Israele subisce infatti
l’influsso costante della cultura greca, come peraltro tutti gli stati
conquistati da Alessandro. Questo provocherà conflitti fra “ellenizzanti” ed
ebrei conservatori tali da condurre nel II secolo a.e.v. a una rivolta contro
l’ellenismo e i suoi sostenitori, sfociata in guerra civile. Non è casuale che
questi secoli siano quelli della canonizzazione definitiva dei testi della Torà
scritta, e proprio a partire da questa epoca si inizia a mettere per iscritto
le tradizioni orali rabbiniche, in un processo che porterà poi alla redazione
della Mishnà nel II secolo e dei due Talmudim nei secoli successivi.
Quindi
il passaggio dalla letteratura biblica a quella rabbinica avviene proprio nello
stesso momento in cui la cultura greca si diffonde ovunque e penetra anche nel
mondo ebraico. Naturalmente si tratta di processi graduali, e già nella
letteratura biblica tardiva troviamo esempi di quella misoginia che diventerà
poi un tratto consueto nella letteratura rabbinica. Nell’Ecclesiaste, per
esempio, testo databile intorno al III secolo a.e.v., e impregnato di
ellenismo, leggiamo “Quello che ho trovato più amaro della morte è la donna, il
cui cuore è una rete, e le cui braccia sono catene (...) Non ho trovato più di
un essere veramente umano su mille, e fra essi non ho trovato una donna”[6].
In quest’epoca, inoltre, numerose parole greche entrano nell’uso ebraico e
rabbinico. Sappiamo che in Grecia le donne avevano una posizione sociale
secondaria, salvo che a Sparta dove esse potevano partecipare alla vita
pubblica e politica in modo attivo. Per il resto, esse vivevano in parti della
casa a loro riservate, i ginecei, di cui pare nascano paralleli anche in ambito
ebraico proprio nell’epoca in oggetto. Negli scritti di Platone, Aristotele,
Demostene e molti altri troviamo atteggiamenti di notevole misoginia, e alcuni
passi talmudici sembrano parafrasare alcuni di questi detti.
Non
dobbiamo pensare che i saggi fossero particolarmente affezionati alle idee
derivanti dall'influenza della cultura greca. Erano, anzi, estremamente
diffidenti al riguardo, ma ne erano tuttavia impregnati, nello stesso modo in
cui oggi noi lo siamo di altre idee o concetti.
Lo
studioso inglese Gordon Rattray Taylor[7] nel suo
testo fondamentale, “Sex in History”[8]
teorizza l’esistenza di due atteggiamenti fondamentali nelle società, che egli
chiama”patristico” e “matristico” e
analizza in maniera molto interessante dodici punti di divergenza fra i
due orientamenti. I costumi variano secondo le epoche seguendo questi due
orientamenti principali: quello patristico è caratterizzato fra l’altro da un
atteggiamento più chiuso e restrittivo nei confronti del sesso, o della libertà
delle donne, mentre quello matristico ha una connotazione molto più permissiva.
Noi viviamo in un’epoca di reazione a un lungo passato dominato dal patrismo, e
oggi i valori del matrismo sono in crescita, almeno nel mondo occidentale, di
conseguenza anche i paradigmi classici del femminile si stanno fortunatamente
trasformando. Molte correnti all’interno delle numerose correnti ebraiche
attuali lavorano per lasciare da parte alcune visioni delle donne che
oggigiorno sono ormai inaccettabili. E sono certo che lentamente questo lavoro
porterà i suoi frutti, anche se paradossalmente spesso si osserva una
difficoltà a modificare certi paradigmi quasi più da parte femminile che
maschile.
5)
In che modo la comunità Satmar di inserisce nella
tradizione chassidica? che cosa la riconduce ad essa e che cosa invece la
allontana
La comunità Satmar fa parte del colorato e interessante
mondo dei movimenti chassidici. La sua particolarità risiede nelle sue
posizioni antisioniste, che fanno parte dell’ampia paletta delle posizioni
ebraiche. In realtà parlare di antisionismo è sempre inesatto, giacché una
qualche forma di sionismo è parte integrante dell’ebraismo, e nessun movimento
ebraico nega questa realtà. La differenza fondamentale sta nel considerare che
questo processo debba essere guidato esclusivamente dall’operato divino oppure
nell’ammettere che sia l’uomo a farlo, attraverso le sue modalità operative che
includono fra l’altro mezzi politici e talvolta anche militari. La tradizione
ebraica in realtà ha elaborato paradigmi suscettibili di sostenere entrambe le
posizioni, da cui questa varietà estrema. Non dobbiamo mai dimenticare che
l’ebraismo, lungi dall’essere solo una religione, è un fenomeno culturale
complesso ed estremamente variegato, spesso poco conosciuto e compreso
dall’esterno, ma anche da molti ebrei.