I LEGIONARI DI CRISTO - recensione

Alberto Athié, José Barba, Fernando M. González - La voluntad de no saber. Lo que sí se conocía sobre Maciel en los archivos secretos del Vaticano desde 1944, Grijalbo-Random House Mondadori, Mexico D.F. 2012.

Il libro che vi presentiamo è stato pubblicato in castigliano con una tiratura di poche migliaia di esemplari nel marzo 2012 ed è significativamente intitolato La volontà di non sapere. Ciò che veramente si conosceva su Maciel negli archivi segreti del Vaticano dal 1944. Gli autori affrontano l'esame di questi documenti da tre punti di vista: Fernando M. González, sociologo e psicanalista, autore di un altro volume su Maciel, ne svolge l'illustrazione e la ricostruzione cronologica, offrendo considerazioni sull'atteggiamento e la reazione istituzionale della chiesa cattolica. Alberto Athié presenta l'esperienza personale, spirituale ed ecclesiastica vissuta negli ultimi 20 anni circa (esperienza che lo condusse ad abbandonare il sacerdozio di fronte al muro di omertà e silenzi eretto intorno alle sue denunce nei confronti del caso Maciel e in generale degli abusi sui minori nella chiesa). José Barba (legionario di Cristo dagli 11 ai 24 anni e in seguito docente universitario) riferisce l'iter di denuncia alla Santa Sede dei crimini di Maciel da lui personalmente seguito negli ultimi 15 anni.


L'immagine di se stessa che la chiesa cattolica cerca in ogni modo di trasmettere, specialmente in momenti di crisi come quello che da tempo questa istituzione religiosa sta attraversando, è incentrata principalmente sulla figura della santità, della perfezione e sulla metafora della "sposa di Cristo". Tale declinazione della sua autorappresentazione, pur non avendo alcun fondamento evangelico, ma provenendo dagli scritti di Paolo divenuti parte del Nuovo Testamento, ha dato vita all'elaborazione di una serie di riflessioni teologiche lungo i secoli. Una delle funzioni che tale immagine riveste, particolarmente importante per l'attualità, è quella di consentire la separazione tra l'istituzione, considerata appunto santa e perfetta come si addice alla sposa di Cristo, e gli uomini che ne fanno parte, che sono peccatori per definizione come tutti gli altri essere umani. In questo modo, l'istituzione non viene messa in discussione, né in quanto tale, né nelle sue articolazioni principali: anche se nel corso del tempo la struttura è cambiata moltissimo e numerose volte, alcuni suoi elementi essenziali vantano un'esistenza plurisecolare. Ad esempio, la presenza di soli uomini nelle cariche di governo e di potere dell'istituzione, fenomeno che si è trasformato nell'attribuzione esclusiva alla casta dei chierici, da un certo momento in avanti celibi e appartenenti al rito latino, di ogni carica di questa natura. Tanto che la chiesa cattolica, dal punto di vista istituzionale, costituisce una struttura, definita teocratica o ierocratica nella sua configurazione statuale e dimensione politica, governata da una casta maschile (come ha recentemente chiarito Mauro Pesce).
 
              Quest'immagine di perfezione e santità, tuttavia, che implica anche una sostanziale immutabilità, continuità e coerenza di fondo, non corrisponde alla realtà effettiva: non solo perché, come si è notato, nel corso della sua lunga storia la chiesa è cambiata, a volte profondamente, pur mantenendo quasi invariata per molti secoli una sua fisionomia essenziale (anche se in realtà le funzioni svolte e i contesti storici hanno spesso mutato le sue articolazioni); ma anche perché, per lungo tempo e pure in seguito a determinate svolte storiche, l'istituzione (che è pur sempre un prodotto della storia) ha strutturato, regolato e legittimato comportamenti contrari al rispetto dell'individuo, alla libertà, ai diritti essenziali degli esseri umani in quanto tali. Ciò anche in periodi in cui s'iniziava a sviluppare, in contrasto con gli insegnamenti del cattolicesimo ufficiale, la riflessione e la pratica, seppur imperfetta, dei diritti umani. Esempio classico di ciò è l'istituzione e la lunga vita dell'Inquisizione che, nonostante la ricerca storica abbia fornito una sua ricostruzione più aderente alla realtà collocandola nel contesto di riferimento, mantiene pur sempre un fondamentale carattere di "Tribunale della coscienza" (dal titolo dell'opera classica di Adriano Prosperi al riguardo), con tutte le conseguenze di censura, repressione e lotta alla libertà di pensiero e azione che ciò comportò (in presenza di altri orientamenti coevi, anche religiosi, che si muovevano in una direzione opposta). O anche la condanna solenne, ufficiale e teologica dei diritti umani proclamati dalla Rivoluzione francese, storicamente revocata solo con il Concilio Vaticano II e senza l'accettazione completa e totale delle conseguenze di tale revoca.
 
            E tuttavia tale immagine, presente anche al fondo di una predicazione come quella di Bergoglio, l'attuale papa Francesco, solo apparentemente rivestita di una diversa colorazione e di accenti differenti rispetto a tale tema, viene continuamente riproposta perché trova la propria legittimità storica in secoli di propaganda istituzionale e di identificazione con il sentimento, il ragionamento e la pratica religiosa, che ne consentono l'espressione in un radicatissimo pregiudizio positivo. Ciò perché qualsiasi istituzione storica che intenda presentarsi come perfetta, morale e giusta, quando determinati comportamenti criminali sono non solo tollerati, ma coperti e legittimati dalla conformazione strutturale, dalle regole e dai meccanismi di funzionamento della stessa istituzione, entra in una crisi di legittimità. Se quest'istituzione non contiene in sé delle regole che possano intervenire in casi come questi, e soprattutto se non può contemplarle perché si tratta di un'istituzione totale o caratterizzata da una natura assoluta, senza separazione dei poteri, dall'assenza di uno Stato di diritto, la crisi di legittimità assume allora un carattere di estrema gravità. A maggior ragione, tale crisi è tanto più profonda nel caso di un'istituzione che si poggia su un'asserita origine divina, pretendendo di essere depositaria della verità sull'essere umano, della sua corretta interpretazione e dell'indicazione della sua morale.
 
                Ciò che la rivelazione degli abusi compiuti da chierici, consacrati e consacrate e altri membri della chiesa cattolica ha messo chiaramente in luce non è solamente il carattere odioso di questi crimini, ma soprattutto la natura endemica, strutturale e storicamente persistente di tale fenomeno nell'istituzione in questione. La sua estensione temporale e geografica, infatti, esclude definitivamente ogni spiegazione in termini "episodici" (dovuti, cioè, alle classiche mele marce), o come localizzati solo in alcuni luoghi o causati dall'influenza di fattori esterni, come la cultura della liberazione sessuale della fine degli anni sessanta ecc. Per non parlare dell'impossibilità di assumere la negazione come atteggiamento sistematico, pure inizialmente e ripetutamente adottato dalle gerarchie della chiesa.

            Come diversi studiosi hanno recentemente dimostrato da una prospettiva multidisciplinare, tale fenomeno degli abusi ecclesiastici sui minori non si comprende se non si tiene conto della struttura della chiesa cattolica e di altri fattori interni (che ne determinano le caratteristiche distintive rispetto agli abusi compiuti da singoli individui o anche organizzazioni nella società civile), quali, fra tutti, il clericalismo e la conseguente mentalità clericale (tipica anche di buona parte del "settore" dei fedeli laici, come Tom Doyle ha rilevato). La differenza tra l'immagine propagandata dall'istituzione, quella percepita dai fedeli e dai pubblici "esterni" e la realtà della chiesa cattolica, insieme al carattere strutturale del fenomeno degli abusi sui minori, sono dimostrati da vicende come quella di Marcial Maciel, di Padre Murphy e dei religiosi dell'Istituto Provolo di Verona (le ultime due si riferiscono ad abusi compiuti su sordomuti minorenni).

         A proposito di Maciel e dei Legionari di Cristo disponiamo ora di un volume che consente una lettura, da prospettive diverse, ma complementari, di una serie di documenti conservati principalmente negli archivi vaticani e per la prima volta resi pubblici. Il libro, pubblicato in castigliano con una tiratura di poche migliaia di esemplari nel marzo 2012, è significativamente intitolato La volontà di non sapere. Ciò che veramente si conosceva su Maciel negli archivi segreti del Vaticano dal 1944. Gli autori affrontano l'esame di questi documenti da tre punti di vista: Fernando M. González, sociologo e psicanalista, autore di un altro volume su Maciel, ne svolge l'illustrazione e la ricostruzione cronologica, offrendo considerazioni sull'atteggiamento e la reazione istituzionale della chiesa cattolica. Alberto Athié presenta l'esperienza personale, spirituale ed ecclesiastica vissuta negli ultimi 20 anni circa (esperienza che lo condusse ad abbandonare il sacerdozio di fronte al muro di omertà e silenzi eretto intorno alle sue denunce nei confronti del caso Maciel e in generale degli abusi sui minori nella chiesa). José Barba (legionario di Cristo dagli 11 ai 24 anni e in seguito docente universitario) riferisce l'iter di denuncia alla Santa Sede dei crimini di Maciel da lui personalmente seguito negli ultimi 15 anni.

            L'analisi di questi documenti contiene numerosi riferimenti al contesto storico della vita della Legione di Cristo e di Maciel, nonché della chiesa cattolica, ma non si tratta di un libro di ricerca storica (anche se, a mio parere, costituisce un volume fondamentale per una tale ricerca complessiva su Maciel). L'obiettivo degli autori è infatti quello di dimostrare che le autorità ecclesiastiche non solo locali, ma soprattutto centrali (il governo centrale e universale della chiesa cattolica, ossia la Santa Sede) per oltre 50 anni ebbero a disposizione tutta la documentazione e le informazioni necessarie per giungere a una condanna definitiva di Marcial Maciel; ma che tale condanna non avvenne fino al 2006 (quando fu comunque parziale, lacunosa ed estremamente reticente, senza comportare una sostanziale giustizia né implicare la tanto richiesta verità).

            Marcial Maciel Degollado, sacerdote messicano, fu il fondatore della congregazione dei Legionari di Cristo nel 1941 (allora diversamente denominata), che ottenne il decreto di lode pontificio nel 1965 da Paolo VI e l'approvazione delle costituzioni nel 1983 con Giovanni Paolo II. Diffusa in tutto il mondo, la congregazione di Maciel costituì per la chiesa un serbatoio di vocazioni sacerdotali e di raccolta di ingenti finanziamenti. Secondo la versione ufficiale dei Legionari, egli fondò anche il movimento di apostolato Regnum Christi. Maciel fu un abituale consumatore di stupefacenti, violentatore seriale durante tutta la sua vita di numerosi membri minorenni della sua congregazione (secondo le testimonianze finora raccolte, egli abusò ripetutamente di circa una trentina di giovani), ebbe relazioni durature con alcune donne (abusando così del proprio status sacerdotale), che condussero alla nascita di alcuni figli, uno dei quali accusò di essere stato anch'egli abusato dal padre. Alcuni dei seminaristi dei quali Maciel abusò sessualmente furono assolti in confessione dallo stesso sacerdote messicano, atto per il quale il diritto canonico prevede la scomunica latae sententiae.
            Questo breve ritratto della vita di Maciel, basato sulle testimonianze e sugli stessi, pur se reticenti e assai tardivi, comunicati ufficiali della Legione e della S. Sede in anni recentissimi, mette chiaramente in luce l'impossibilità, del resto già notata dai suoi accusatori e dai critici, di poter sostenere una simile esistenza nell'ambito di un'istituzione che si presenta come moralmente perfetta e santa senza la complicità e la copertura istituzionale sia interna alla Legione sia esterna (entro la chiesa cattolica nella sua dimensione locale - i vescovi messicani - e in quella centrale - le autorità della S. Sede). Complicità, protezione e copertura che per circa 60 anni garantirono a Maciel una totale impunità (anche attraverso un tortuoso percorso fatto di "incidenti" e rischi sempre superati dal prete messicano fino al 2006) e che, sia per l'enormità degli eventi, la loro portata e per i personaggi coinvolti, sia per la lunghezza temporale, non possono che essere ricondotte alla struttura stessa della chiesa cattolica (come del resto amaramente confermano tutti gli altri casi di abusi sessuali sui minori giunti alle autorità centrali della chiesa insieme a quelli invece trattati a livello solamente locale).

            Per quanto riguarda la struttura interna dei Legionari e del movimento Regnum Christi, bastino solo due riferimenti presenti nel Prólogo e nel primo saggio del volume (rispettivamente di Bernardo Barranco e di González alle pp. 14 e 44-49, 59-62): da questi emerge l'immagine di una struttura caratterizzata dall'assolutizzazione dell'autorità, dalla totale mancanza di libertà e di riconoscimento dei diritti individuali, dal conseguente controllo dei propri membri, ottenuto, ad esempio, attraverso il voto di obbedienza e quello di carità che consentivano l'omertà istituzionale fondata sul silenzio e la complicità, dalla violenza istituzionale e dal culto della personalità del fondatore. Caratteristiche queste, sia detto per inciso, analoghe, pur nelle debite differenze e nonostante la diversità dei presunti carismi, a quelle di un'altra istituzione della chiesa, la prelatura personale dell'Opus Dei. Anche qui è difficile immaginare che nessuna autorità, all'interno della chiesa cattolica, conoscesse la reale situazione di queste due realtà ecclesiali (solo per fare due esempi particolarmente calzanti). Non è un caso, infatti, che entrambe, i Legionari e l'Opus Dei, ottennero il riconoscimento ufficiale da parte della S. Sede (l’Opus Dei nel 1982, ossia solo un anno prima dei Legionari), atto che, in sostanza, è il riconoscimento dell'immagine stessa della chiesa in quelle realtà. E dal punto di vista istituzionale, la chiesa non è altro che una struttura caratterizzata dalla presunzione dell'origine divina, dal culto della personalità del suo capo, il papa, dalla gerarchia e l'esaltazione del principio dell'autorità, dalla mancanza di riconoscimento dei diritti umani al proprio interno per la sua stessa natura. E ciò emerge nonostante, anzi proprio grazie agli sforzi attuali di Bergoglio di offrire un'immagine differente e "non istituzionale", utilizzando, tuttavia, tutti gli strumenti adeguati a tali meccanismi.

            Quelli presentati e analizzati nel libro dai tre autori costituiscono una selezione di 212 documenti su Maciel e sui Legionari di Cristo provenienti in gran parte dall'Archivio della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (la vecchia Sacra Congregazione dei Religiosi) e relativi al periodo 1944-2002. Si tratta della parte meno conosciuta e meno commentata, specialmente in Italia, dei cosiddetti Vatican leaks, ma che certamente ne rappresenta una delle più scandalose e sostanziali. L'intera documentazione è conservata e consultabile online.  Un'avvertenza preliminare va fatta: data l'impossibilità di consultare gli originali (come è noto, gli archivi vaticani sono aperti fino alla morte di Pio XI, cioè fino al febbraio del 1939, alcuni disponibili per un periodo minore, altri del tutto inaccessibili alla data attuale), si pongono alcune questioni sulla loro provenienza e natura. In merito all'autenticità, è mancata una reazione o un commento ufficiale della S. Sede alla loro pubblicazione o una smentita ufficiale della loro natura: non vi sono, quindi, allo stato attuale, ragioni decisive che facciano ritenere che si tratti di documentazione non autentica. Al contrario, un primo, rapido esame del contenuto, stile e degli aspetti formali di tali documenti fa ritenere che si tratta di scritti autentici. D'altra parte, se così non fosse, la chiesa avrebbe avuto un'occasione irripetibile per denunciare, come è sua abitudine, l'esistenza di un complotto ai propri danni. Cosa, è bene ripeterlo, nello specifico mai avvenuta. Né, per rimanere in tema di ipotesi complottistiche, è plausibile pensare che gli autori, dopo aver avuto dalla stessa chiesa la conferma ufficiale, anche se su molti aspetti reticente, delle proprie accuse abbiano avuto interesse a "creare" degli ipotetici falsi così ben strutturati e organizzati.


            Cosa emerge da tutta questa documentazione? Non è possibile diffondersi in questa sede in un'analisi esaustiva dei documenti presentati. Faccio solo riferimento ad alcuni aspetti che, a mio parere, risultano interessanti e che giustamente sono evidenziati dagli autori. Le prime notizie negative e le prime accuse a Maciel pervengono alla congregazione vaticana già alla fine degli anni quaranta. Negli anni cinquanta a Roma vengono a conoscenza dell'uso abituale di morfina da parte del prete messicano e le autorità ricevono le accuse di abusi sessuali su minori (rubricate in forma diversa in conformità con le procedure canoniche). Ciò conduce alla sospensione di Maciel dall'incarico di Superiore generale nel 1956 e a una serie di visite apostoliche al suo Istituto, alcune delle quali concludono con un giudizio favorevole accettato dalla Congregazione per i Religiosi, che decreta la sua riabilitazione con determinate limitazioni. All'inizio degli anni sessanta nuove accuse contro Maciel convincono la Congregazione della necessità di deporre il prete messicano, nominando un nuovo Superiore dall'esterno dell'Istituto; ma questi provvedimenti non giungono all'allora pontefice per un intervento diretto della Segreteria di Stato. Intorno alla metà degli anni settanta, due ex appartenenti alla cerchia dei collaboratori più stretti di Maciel denunciano i suoi crimini all'interno dei Legionari di Cristo. Queste denunce giungono poi, tramite un vescovo, al Delegato Apostolico per gli Stati Uniti che le invia alla Congregazione per i Religiosi nel 1979 (che a quell'epoca aveva assunto l'attuale denominazione). Come fa notare González a quella data, subito dopo l'elezione di Giovanni Paolo II, la Congregazione vaticana aveva in mano tutta la documentazione necessaria per giungere a una valutazione complessiva negativa su Maciel. Cosa che non si verificò. Anzi, nel 1983 il papa, come s'è visto, approvò le costituzioni dei Legionari.

            Nel 1997 alcuni ex legionari pubblicarono una lettera aperta a Giovanni Paolo II, denunciando i crimini di Maciel, in particolare gli abusi sessuali che avevano subito dal prete messicano. Nell'ottobre 1998 José Barba insieme ad altri si recò al Palazzo dell'ex Sant'Uffizio a Roma, presieduto dal card. Ratzinger, presentando la denuncia contro Maciel e incontrando brevemente lo stesso Ratzinger. Nel febbraio 1999 la domanda ufficiale di denuncia fu presentata alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede. Anche Alberto Athié inviò nel 1999 una lettera a Ratzinger con gravi accuse a Maciel. La risposta di Ratzinger, così come fu riportata ad Athié, si può leggere alla p. 199 del volume e non si trattò certo di una decisione di condanna, tutt'altro. Le denunce giunsero nel 2002 anche al segretario del papa, Stanislaw Dziwisz. Solo nel 2005, Ratzinger decise di agire, aprendo finalmente la procedura degli interrogatori ai testimoni tramite Charles Scicluna, promotor justitiae della Congregazione da lui presieduta. Il 19 maggio 2006, quando Ratzinger è già stato eletto papa con il nome di Benedetto XVI, un comunicato ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede su Maciel informava che le accuse contro di lui erano state ricevute dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dal 1998 e, tra l'altro, che Ratzinger aveva «autorizzato una investigazione delle accuse» dopo l'aprile del 2001, ossia intorno al 2005. Dall'esame dei risultati dell'investigazione - proseguiva il comunicato - il nuovo prefetto della Congregazione, Levada, aveva «deciso - tenendo conto sia dell’età avanzata del Rev.do Maciel che della sua salute cagionevole - di rinunciare ad un processo canonico e di invitare il Padre ad una vita riservata di preghiera e di penitenza, rinunciando ad ogni ministero pubblico. Il Santo Padre ha approvato queste decisioni». Il comunicato si concludeva con il riconoscimento di gratitudine per l'apostolato dei Legionari e del Regnum Christi «indipendentemente dalla persona del Fondatore» (sempre indicato nei suoi epiteti, si noti, con la maiuscola. Il testo integrale del comunicato è disponibile sul sito ufficiale della Santa Sede).

         Da lì in avanti si aprì la serie delle visite apostoliche e la successiva nomina del delegato Velasio De Paolis, che tuttavia non ha finora portato a una vera riforma della Legione. Quest'ultimo, infatti, ha deciso di proseguire sulla strada del riconoscimento parziale dei crimini di Maciel e del contemporaneo mantenimento in vita della congregazione dei Legionari di Cristo e del Regnum Christi, confermando gran parte della classe dirigente "maceliana" nella direzione dell'istituzione, senza indagare sulle complicità all'interno della Legione. Solo nel maggio 2010 un comunicato della Santa Sede, dal tono ampiamente autoassolutorio, riconosceva ufficialmente che Maciel aveva commesso alcuni crimini e adottato comportamenti immorali gravissimi «confermati da testimonianze incontrovertibili» (Il testo integrale del comunicato è disponibile sul sito ufficiale della Santa Sede).

            Le domande che sorgono dalla lettura e illustrazione di questi documenti sono veramente pressanti e attendono una risposta che vada oltre le reticenze, le giustificazioni e le affermazioni insostenibili: perché le autorità vaticane, pur avendo a disposizione una simile documentazione, non intervennero mai sino al 2005? Perché non fu mai aperto un processo canonico contro un simile criminale, come lo stesso diritto canonico prevedeva, ed è stato invece deciso di applicare una sanzione lievissima (la vita di preghiera e penitenza dovrebbe essere già parte dell'esistenza dei sacerdoti) rispetto ai crimini compiuti, adducendo a giustificazione l'anzianità e le precarie condizioni di salute di una persona che, ricordiamolo, aveva abusato di minorenni e faceva uso costante di droghe? Come è possibile mantenere in vita una congregazione e un movimento fondati e diretti per decenni da un violentatore di minorenni, tossicodipendente e, pur essendo sacerdote di rito latino, padre di numerosi figli avuti da diverse relazioni? Come è possibile liquidare la questione delle complicità della classe dirigente dei Legionari di Cristo e delle analoghe complicità delle autorità vaticane? Come può Ratzinger, che pure si rifiutò di partecipare alla messa in onore di Maciel a Roma nel 2004 (anche se nel 2001, a quanto risulta da questo libro a p. 229, aveva presentato i suoi auguri a Maciel per il prossimo compleanno), sostenere di essere venuto a conoscenza di fatti concreti solo nel 2000 (cfr. il suo libro-intervista con Peter Seewald Luce del mondo), quando invece i documenti fondamentali erano a disposizione nel dicastero competente già dal momento in cui egli si insediò come Prefetto della Congregazione (in realtà da molto prima), mentre le accuse contro Maciel divennero pubbliche nel 1997 e nel 1998 alcuni dei denuncianti si presentarono a Roma, nella sua sede, incontrandolo?

            Per quanto potranno emergere in futuro ulteriori documenti sulla vicenda - e ci auguriamo che tutti i documenti vengano finalmente pubblicati nella loro interezza -, che possano ipoteticamente dimostrare una qualche azione del teologo tedesco orientata verso una possibile apertura di un processo interno contro Maciel - e finora non sono emersi -, ciò che si può con certezza affermare è che Ratzinger non prese alcuna iniziativa per una denuncia pubblica o alle autorità civili del criminale Maciel, come è dovere morale di chiunque venga a conoscenza di tali reati, a maggior ragione di un sacerdote, cardinale e capo dell'istituzione della chiesa che ha il compito di «promuovere e di tutelare la dottrina della fede e i costumi in tutto l’orbe cattolico» (dal profilo della Congregazione per la Dottrina della Fede sul sito della Santa Sede). In ciò egli era impedito dalla totale accettazione delle regole e della prassi secolare della chiesa cattolica al riguardo, che pone al di sopra di ogni considerazione la tutela del buon nome del clero e dell'istituzione, ritenendo la violenza di questo tipo un peccato e non un reato e considerando l'abuso, compiuto anche solo in occasione della confessione (la sollicitatio), come un abuso del sacramento e non della persona. Inoltre, per tutto il periodo in cui fu a capo della Congregazione, Ratzinger non aprì mai ufficialmente la causa nei confronti di Maciel se non poco prima che morisse Giovanni Paolo II; se anche vogliamo accettare il 1997-98 come data in cui egli venne a sapere delle accuse divenute oramai pubbliche (come se nulla fosse mai emerso in precedenza), il lasso di tempo trascorso fino al 2005 è veramente troppo lungo e inaccettabile.

            Ma la posizione di colui che poi divenne Benedetto XVI è ancor più grave e ingiustificabile, se si tiene conto di altre considerazioni. In occasione del processo di beatificazione di Giovanni Paolo II, la questione Maciel (di cui, ricordiamolo, il papa polacco fu amico, come di altri preti violentatori di minori), sorse inevitabilmente. Dalle dichiarazioni ufficiali si apprende che egli non fu a conoscenza dei crimini del prete messicano. Tesi insostenibile, soprattutto perché non supportata da alcuna documentazione pubblica a suo sostegno e in presenza, invece, di documentazione disponibile che, almeno nel momento della pubblicità delle accuse, poteva essere consultata facilmente dal capo della chiesa cattolica. Ma se volessimo accettare, anche solo per un momento, questa giustificazione, ne verrebbe fuori una conseguenza inevitabile: non potendo affermare che nessuno in Vaticano sapesse della vicenda di Maciel quando questa era ormai divenuta di pubblico dominio, non rimane altro che ritenere che i collaboratori più stretti del papa non lo informarono a questo riguardo. E tali collaboratori corrispondono proprio ai nomi di Ratzinger, Dziwisz, il segretario di Stato Sodano... E' ancora possibile, a questo punto, accettare l'autodifesa di Ratzinger, peraltro debole, recentemente sostenuta dal papa emerito nel suo dialogo con Odifreddi, di non aver mai coperto gli abusi dei chierici nei confronti dei minori («Mai ho cercato di mascherare queste cose», abusi, tra l'altro, incredibilmente definiti "morali")? O l'altra sua dichiarazione, veramente assurda - per usare un eufemismo - e spiegabile, ma non giustificabile, solo in un contesto clericale, rilasciata nel 2010 a Peter Seewald secondo cui Maciel rimaneva per lui una figura enigmatica?

            Certamente nella chiesa cattolica non è possibile sapere completamente tutto di tutti; ma la situazione che rappresenta lo scandalo Maciel è totalmente diversa. E rimane sempre il fatto, come denuncia il titolo di questo volume, che ciò che è mancato è stata proprio la volontà di sapere e di cercare la documentazione laddove esisteva in abbondanza. La figura di Maciel tornerà a gettare discredito sulla chiesa fino a che non si farà definitiva chiarezza, accettando di chiamare le cose con il proprio nome e di riconoscere con trasparenza la rete di complicità, di coperture, di silenzi e di protezione di violentatori e abusatori di minorenni. Quanti altri casi Maciel dovremo scoprire prima che la chiesa cattolica riconosca la reale dimensione del fenomeno e la sua natura strutturale che richiede una soluzione radicale, ben lontana dal poco finora realizzato (e attuato sostanzialmente con la finalità di una pulizia dell'immagine dell'istituzione)?
            Quello che per ora rimane, oltre a tutte le numerose testimonianze, sono le inaccettabili manifestazioni di lode e plauso che circondarono Maciel fino a pochi anni prima della sua scomparsa, avvenuta nel 2008: quelle di Giovanni Paolo II, che nel 1994 in occasione del cinquantenario della sua ordinazione, lo definì una guida efficace per coloro che lo seguirono (Carta de su Santitad Juan Pablo II al padre Marcial Maciel Degollado con ocasión del 50 aniversario de su ordenación sacerdotal).

            Oppure di Tarcisio Bertone, il quale addirittura nel 2004, quando ormai le denunce erano pubbliche, scrisse una prefazione a un libro-intervista al sacerdote criminale, lodandolo per la sua dedizione alla chiesa e il suo amore per Cristo (in cui, ad es., affermava che «la chiave di questo successo è, senza dubbio, la forza di attrazione dell’amore di Cristo, che ha spinto sempre P. Maciel e la sua opera a non lasciarsi vincere dalle avversità, che non sono mancate nella loro storia», in Colina Jesús, La mia vita è Cristo. Intervista a Marcial Maciel, Roma, Art 2004).

            O ancora del papa polacco, che il 31 gennaio 2005 inviava un messaggio ai Legionari in cui esaltava l'opera di Maciel come contrassegnata dalla «formazione della gioventù in solidi principi cristiani e umani che, fondati sulla libertà e responsabilità personale, contribuiscano alla sua maturità spirituale, sociale e culturale, nella fedeltà al Magistero e nella piena comunione con il Papa» (Messaggio del Santo Padre in occasione del Capitolo Generale della Congregazione dei Legionari di Cristo, 31.01.2005). E che pochi mesi prima, in occasione dei 60 anni di sacerdozio del prete violentatore, lo riceveva in udienza insieme ai Legionari e ai membri del Regnum Christi, impartendogli la propria benedizione (Udienza ai Legionari di Cristo e membri del movimento "Regnum Christi", 30.11.2004, sul sito ufficiale della Santa Sede).

Tommaso Dell'Era

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