L'Opus Dei trascura gli adempimenti salariali con i suoi lavoratori

Traduzione italiana del documento pubblicato da Fueraborda su www.opuslibros.org/nueva web il 13 ottobre 2010 dal titolo "EL OPUS DEI INCUMPLE LAS OBLIGACIONES SALARIALES CON SUS PROPIOS TRABAJADORES"
APPROSSIMATIVAMENTE L’80% DEI NUMERARI E DELLE NUMERARIE DELL’OPUS DEI (MEMBRI CELIBI) LAVORANO PROFESSIONALMENTE FULL TIME PER L’ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLA PRELATURA. LAVORANO SENZA CONTRATTO E SENZA VACANZE NÉ RIPOSI.

SONO PRIVI DI RETRIBUZIONE E DI DIRITTI PERCHÉ IL LORO LAVORO NON HA CONFIGURAZIONE GIURIDICA.
Una delle maggiori attrattive che ci aveva spinto verso l’Opus Dei era stato l’entusiasmo di mettere Cristo sulla cima di tutte le attività umane, nel libero esercizio della nostra professione in mezzo al mondo ed essendo uno fra tanti in mezzo ai nostri simili. Questo era quello che ci veniva proposto.


Negli Statuti della Prelatura, leggiamo a proposito dei suoi fedeli: Cap 1, n. 3:
1° si impegnano a non abbandonare l’esercizio del loro lavoro professionale o di un altro equivalente, poichè è per mezzo di questo che cercano la santificazione e (svolgono) l’apostolato specifico;
2° si sforzano di compiere con la massima fedeltà gli obblighi del proprio stato e l’attività o professione propria di ognuno, sempre col massimo rispetto verso le leggi legittime della società civile, oltre a realizzare i lavori apostolici affidati loro dal Prelato.

Così ci venne spiegato quando arrivammo, e naturalmente a questo avevamo creduto.
Ma sfortunatamente, per molti di noi, quell’idea che all’inizio ci catturò non si vide realizzata perchè -paradossalmente!- le stesse necessità dell’Opera ce lo hanno impedito, e i Direttori, a nome del Padre , ci chiamarono a compiti di maggior servizio: gli incarichi interni (così vengono denominati gli incarichi interni all’istituzione).

Tale dedizione è imposta, non è possibile una libera scelta. Forma parte della donazione senza condizioni che deriva dall’impegno vocazionale.


ITINERARIO

1.     Tutto inizia con un cambio di piani: Da adesso ti dedicherai professionalmente a questo incarico per far fronte alle necessità apostoliche dell’Opera.


Dato che nell’Opera nessuno mette in dubbio che i comandi dei Direttori vengono da Dio, se ti chiedono di cambiare il tuo lavoro per un maggior servizio all’Opera, anche se fosse una sfortuna, ti abbandoni totalmente a tale indicazione senza soppesare i pro e i contro del nuovo orientamento che la tua vita sta prendendo, per un periodo o per sempre.
E quando ti chiedono l’immolazione del tuo lavoro per il bene dell’Opera e in beneficio delle anime, e con ciò stesso tu chiudi le porte della tua vita professionale e sociale, sei cosciente di che stai bruciando le navi, segnale del buono spirito che nell’Opera si esige.
E questo buono spirito ti impedisce di scoprire che queste necessità dell’Opera alle quali ti stai donando pienamente, si troveranno sempre al di sopra delle tue personali. I fini dell’istituzione, sempre al di sopra del bene delle persone.
Secondo lo spirito dell’Opera, per laicità e per povertà, nessun membro deve svincolarsi dal suo lavoro professionale, giacché, in teoria, è il mezzo caratteristico della sua santificazione. Ma in pratica, e per obbedienza, con questa chiamata ad incarichi interni, la stessa Opera ti impedisce che sia così, e ricordando le parole del fondatore una volta e un’altra decidi di obbedire, senza renderti conto nemmeno del fatto che obbedendo a questo comando concreto vieni meno a quella stessa spiritualità.
E con la convinzione di che sia Dio che te lo chiede, e con i migliori desideri di donazione, lasci il lavoro più fiorente per dedicarti in pieno alla tua nuova missione, svincolandoti la maggior parte delle volte dal tuo ambiente professionale, sociale, familiare e culturale. Non diciamo poi se la tua destinazione è un altro paese, un’altra cultura, o un posto nel quale i tuoi studi non sono riconosciuti.
E qui continuano a chiederti il contrario di quella che sarebbe la loro spiritualità. Cominci a sentirti diviso, cominci a romperti.



2.     IL LAVORO.
APPARTIENI ALL’ORGANICO DI UN’IMPRESA MOLTO REDDITIZIA


Il cambio di lavoro presuppone una differenza sostanziale. Il tuo nuovo datore di lavoro o padrone è adesso la prelatura, ma nessuno ti consegna un contratto di lavoro nel quale figurino salario, assicurazioni sociali, diritti e obblighi. Come sempre, tutto è confuso.
Loro scelgono i loro lavoratori: a dito sei stato chiamato, e a dito, senza preavviso, sarai destituito.
La consegna è la donazione senza condizioni, la cui manifestazione è finire spremuto come un limone.
E così ti comporti come un asinello, figura che il fondatore pose come esempio.

3. MANCANO DI GIUSTIZIA NON RISPETTANDO LA LEGISLAZIONE CIVILE NÉ LA LORO PARTICOLARE

In ogni famiglia che sia tale si ha cura che i propri membri siano coperti da una pensione quando sarà il momento. Però in questa famiglia -i cui legami sono più forti che nella famiglia di origine”, secondo quello che diceva il fondatore- non si è soliti avere un contratto di lavoro, né salario, né assicurazioni sociali che coprano la tua pensione.
Perché quando per obbedienza abbandoni il tuo lavoro donandoti senza condizioni a quello che ti chiedono i Direttori in nome di Dio, non pensi che la tua Madre bella, l’Opera, passato il tempo non avrà cura di te, né compirà quello che dicono i suoi propri Statuti nel capitolo III, n.24 §1. Tutti i fedeli della Prelatura debbono disporre delle assicurazionin e previdenze indicate dalle leggi civili per i casi di invalidità o incapacità per lavorare, infermità, vecchiaia, etc.

Gli Statuti prevedono che il fedele della Prelatura debba disporre delle assicurazioni o previdenze per i casi di malattia, vecchiaia, etc., ma si trascura tale obbligo quando sono loro stessi quelli che debbono pagare queste assicurazioni per il fatto di essere i padroni o i datori di lavoro di coloro che lavorano nella burocrazia interna. Questo perchè i versamenti contributivi dei loro lavoratori risulterebbero troppo costosi, non gli conviene, e sembra non importare niente che i loro impiegati restino totalmente senza protezione.
Dato che l’Opus Dei non ha mai voluto assimilarsi al regime civile dei religiosi, e nemmeno ha voluto registrarsi come impresa, il risultato è che i suoi lavoratori non siano assoggettati a nessuna legislazione lavorativa. L’istituzione mostra una volta di più in questo caso la sua abilità per collocarsi in un costante stato di eccezione, tanto della legislazione civile quanto di quella canonica, comportandosi con una completa mancanza di trasparenza. In tal modo si nega la Prelatura a costituirsi come impresa e a contrattualizzare direttamente i suoi impiegati, nei pochi casi nei quali si è vista obbligata a farlo, ha ordinato a qualcuna degli enti che dipendono da essa di compiere un falso, stipulando un contratto col quale simulava che l’impiegato in lavori interni dell’Opus Dei lavorava per tale ente.



5. DOPO LA MANCANZA DI GIUSTIZIA, LA MANCANZA DI CARITÁ: ABBANDONANO LA LORO GENTE LASCIANDOLA NELL’INDIGENZA


Un bel giorno, passati pochi o molti anni, o essendo uno anziano, comunicano senza altri preamboli che da quel momento l’Opera fa a meno di te per quei lavori interni ai quali ti aveva chiamato anni fa.
Se trovi difficoltà per reinserirti nel mondo del lavoro, dopo qualche mese ti fanno un avvertimento, che non puoi essere d’aggravio per l’Opera, e sicuramente ti ricordano anche che, continuando così, dovrai cercarti un altro alloggio, come per esempio il domicilio di qualcuno di famiglia, dato che non è proprio dello spirito secolare vivere a spese dei fratelli.

E lì, nella tua nuova destinazione, in questa città probabilmente sconosciuta, senza famiglia, senza amici, con parecchi anni sulle spalle e senza appoggi, come caduto da una nuvola e senza un curriculum da presentare (anche se i tuoi studi e i tuoi primi passi nella vita professionale che loro hanno troncato erano stati magari brillanti), dovrai cominciare a ricostruire la tua vita. Sapendo anche che, per il fatto che sei rimasto durante un determinato numero di anni senza che figurasse davanti alla legge la tua vita lavorativa, e non avendo avuto versamenti previdenziali, resterai un domani senza pensione.

6. SE LASCIO L’OPERA, MI TROVO IN MEZZO A UNA STRADA: PRIVO DI TUTTO

Se un qualche giorno la tua coscienza ti dicesse che devi abbandonare l’Opera, o se loro stessi si incaricassero di forzarti in questa direzione, dove andresti?
Nell’ingenua donazione di tutta la tua persona e di tutto ciò che è tuo –bisogna bruciare le navi, ci dicevano (per indicare che bisogna precludersi la via del ritorno a casa) - non avevi contemplato una simile possibilità.
Ma loro sì. Non lasciano nulla all’improvvisazione. Era progettato che tu seguissi le regole del gioco, passo dopo passo:

Avevi imparato a memoria, inciso a fuoco, quello che ti avevano insegnato: I numerari sono sempre disposti ad abbandonare l’attività professionale più fiorente per continuare a servire Dio e le anime nel posto più nascosto. È importante coltivare in tutti questo atteggiamento di disponibilità reale a lasciare per qualche tempo l’esercizio della propria professione, e dedicarsi con generosità a qualche carica o incarico di servizio nell’Opera (Esperienze sui lavori apostolici, n. 44, Roma, 6.X.2003).
E te lo assumesti in modo tale che poi hai impiegato degli anni per comprendere che tale atteggiamento non solo non è sacro, ma addirittura è contrario al teorico spirito dell’Opus Dei: santificarsi nella propria professione.
-         Hai fatto testamento di tutti i tuoi beni a favore dell’Opera.
-         Hai donato tutto quello che possedevi, senza mai prendere una precauzione o accantonare un risparmio.
-         Hai lasciato sul tavolo del Direttore tutti i regali fatti da familiari, amici o colleghi.
-         Hai chiesto molto denaro per le necessità apostoliche dell’Opera, e hai anche ottenuto bei mobili, gioielli e magari qualche casa di famiglia da destinare alle opere apostoliche. E hai spennato i tuoi amici e familiari, consapevole in qualche caso che si stavano privando del necessario.
-    E quel che è peggio: hai consegnato, un mese dopo l’altro, tutto il tuo reddito come esigenza morale della tua donazione all’Opus Dei.

Fino all’anno 1982, così era previsto nel diritto particolare dell’Istituto Secolare a cui appartenevamo.
Ma, passando ad essere Prelatura Personale, sono cambiate molte cose senza che nessuno ci informasse, poiché dicevano: Lo spirito resta lo stesso, bisogna continuare a fare le cose di sempre.
E ce lo siamo creduto, perchè mai avremmo osato mettere in dubbio la veracità delle indicazioni del Prelato.
Però ci ingannava. Il Prelato ci ingannò approfittando della nostra buona volontà, perchè mai nessuno dei suoi figli avrebbe osato mettere in dubbio né investigare se la prassi che ci si esigeva era conforme al diritto, secondo la nostra propria costituzione. La quale, d’altro canto, mai ci fu mostrata né fu messa a nostra disposizione.
Che frode. Nessuno ci tenne informati.
Fra i nostri obblighi, non era più vigente quello di consegnare tutti i nostri beni. Non figurava più nei nostri Statuti questa esigenza della donazione.
Questo è quello che esigono gli Statuti della Prelatura riguardo alla contribuzione economica dei membri:
Il candidato deve essere informato, prima di essere ammesso, che lo spirito dell’Opus Dei esige da ognuno una vita di intenso lavoro, in modo tale che mediante l’esercizio della propria professione o attività, si procuri i mezzi economici in modo tale che non solo possa far fronte alle proprie necessità e, all’occorrenza, al sostentamento della sua famiglia, ma anche contribuire generosamente, secondo le sue circostanze personali, al sostentamento delle opere apostoliche. (Capitolo III, n. 22)

Tuttavia, un mese dopo l’altro, continuavano a privarci di tutte le entrate del nostro lavoro.
Come risultato, queste somme di denaro che consegnavamo ingannati (loro direbbero “liberamente”), ci sono state usurpate in modo fraudolento, e perciò, secondo giustizia, ci debbono essere restituite.
È questo che ancor oggi è sconosciuto ai membri dell’Opus Dei, dato che in pratica si esige loro la consegna totale del denaro che si riceve per qualunque motivo.

Considerato ciò, non sembra giusto negare il diritto a una giusta retribuzione economica a coloro che lasciano l’Opus Dei.
Per giustificarsi, cercano diverse scuse.

La più frequente è che si è lavorato  liberamente per prendersi cura della propria famiglia, e che nelle famiglie non vi sono né contratti né salari.
Ragionamento non valido perchè non è vero.
Ogni famiglia può dimostrare che è tale con un certificato matrimoniale. L’Opera no. Nell’Opera non puoi dimostrare neanche che appartieni o sei appartenuto ad essa, dato che si guardano bene dal consegnarti qualsiasi documento in proposito.
È inutile dire qui come lo Stato sostiene e protegge con la sua legislazione chi esce sfavorito economicamente dopo la rottura della relazione in un matrimonio o in una coppia di fatto, e che ha diritto ai beni guadagnat, cosa che nella “famiglia dell’Opera” è impensabile.


Vediamo che l’Opus Dei non agisce né come una famiglia né come un’impresa, e dopo la rottura lascia nel più completo abbandono gli ex-membri che hanno lavorato per loro.

Se è grave il danno procurato dal non avere versamenti contributivi per i lavori interni realizzati anche per chi continua ad appartenere alla Prelatura, la situazione in cui si trova il lavoratore interno dell’Opus Dei quando rassegna le dimissioni dall’Opera è di indigenza totale: senza casa, senza lavoro, senza esperienza lavorativa né curriculum, senza indennità di disoccupazione, senza versamenti contributivi, senza pensione in molti casi. Se te ne vai dopo esserti dedicato integralmente all’Opus Dei per molti anni, sei perduto.

È la dimostrazione della scarsa preoccupazione per le persone e del senso di giustizia sociale che aveva il fondatore.


7. SE RIVENDICHI CIÓ CHE È TUO

La maggior parte delle persone che escono dall’Opera dopo pochi anni restano ancora con la mentalità ricevuta a fuoco nella Prelatura. Uno degli aspetti che insegnano nell’Opera è ciò che si riferisce al n. 83 del Catechismo dell’Opera: Se un fedele esce dall’Opera non ha diritto a richiedere alcun compenso economico per i servizi che abbia prestato all’Opera, né per i donativi o elemosine che abbia fatto, come succede generalmente con qualunque donazione o prestazione gratuita di servizi, tanto nella Chiesa come nella società civile. Ci possono essere però dei casi nei quali esista un motivo di carità per offrire un aiuto economico (Questa eccezione nei casi nei quali si danno motivi di carità è stata aggiunta nell’ultima edizione del Catechismo dell’anno 2010, prima non esisteva eccezione alcuna).
Abbiamo però verificato che nella pratica non intendono come motivi di carità la giusta retribuzione di ciò che a suo tempo ingiustamente ci venne negato: i versamenti contributivi per gli anni lavorati per loro.

Tutti coloro che escono in queste condizioni si ritrovano così avviliti e depressi per non poter risolvere questa situazione. Molti, avendo lavorato decine di anni per l’istituzione, non possono più effettuare i versamenti per gli anni stabiliti dalla legislazione civile per riscuotere la pensione di vecchiaia. E la strada del ricorso ai tribunali è costosa, ancor più se si tiene conto che secondo il Diritto del Lavoro (in Spagna) questi delitti vengono prescritti dopo cinque anni. Alcune persone, coraggiosamente, hanno fatto causa alla Prelatura in sede giudiziaria.

Solo in pochi casi isolati, vedendosi fatti oggetto di pressione e di fronte alla minaccia di una denuncia o di uno scandalo, hanno acconsentito a versare una cifra ridotta, sempre dietro attestazione scritta e firmata che la Prelatura non ha con l’interessato debiti sospesi e che pertanto non verranno fatte altre richieste di alcun tipo. Altra condizione che mettono è che accetti che quello che ti danno ti viene dato per carità, perchè per giustizia nulla ti è dovuto. E si comportano così anche in caso di malattia, di massima scopertura materiale e di possibilità nulle di trovare risorse.

Una scusa ricorrente è che non c’è denaro.
La risposta è scandalosa, perchè dove vanno a finire le multimilionarie cifre che ammassano, provenienti dal risparmio di tanti lavoratori senza stipendio né assicurazioni sociali; da tante retribuzioni integralmente consegnate mese dopo mese da Numerari e Aggregati; da tante eredità ricevute; dall’obbligo di contributo economico di Soprannumerari e Cooperatori; da tante richieste fatte in nome di Dio a privati e ad imprese come conseguenza di quelle che sono chiamate campagne economiche?


* * * * * * * * * *

Abbiamo affrontato il tema dei lavori interni considerato in generale, ma andiamo a vedere con più precisione come ci si burla delle leggi e, ciò che è ancora più forte, come si utilizza la persona maltrattandola a beneficio proprio secondo le diverse modalità di questi lavori:

1. NUMERARIE AUSILIARI
(Fraudolenta vocazione che inventò Escrivá per risolvere il problema del servizio domestico nei centri)

Fino a poco tempo fa le Numerarie Ausiliari erano prive di contratto di lavoro, di nomina e di stipendio.
Pertanto, dove esse lavorano (residenze, case di ritiro e convegni, collegi universitari, ecc.) si è soliti avere una doppia contabilità. La maggior parte dei lavoratori non hanno nomina, non sanno a quale categoria professionale appartengono, non conoscono i propri diritti e doveri come impiegati, non sono soliti godere di giorni festivi né di periodi di vacanza.
Insegnava loro il fondatore, con una canzone composta per loro, che sono solite cantare ingenuamente nei momenti di ricreazione: “Ho il diritto di non avere diritti”.
Quel che è certo è che negli ultimi anni, spinti dai problemi lavorativi che andavano sorgendo dinanzi a certe situazioni, e di fronte al timore della cattiva fama e dello scandalo (ispezioni sul lavoro, esposti di famiglie, ecc.) hanno iniziato, col contagocce e molto selettivamente, a iscrivere alla Previdenza Sociale coloro che avrebbero potuto comprometterli. In ogni caso tutte loro hanno periodi privi di versamenti previdenziali.
Quelle che hanno un contratto di lavoro, firmano mese dopo mese la ricevuta della retribuzione, che però mai viene versata loro, cioè non passa materialmente per le mani dell’interessata. Una simulazione. Nei casi in cui hanno dovuto lasciare il lavoro perchè se ne andavano dall’Opera, hanno anche firmato per la liquidazione, che però non è stata effettivamente versata. In questo modo, senza denaro e senza risorse, hanno dovuto tornare nella città d’origine dai loro genitori chiedendo accoglienza.
Hanno passato tutti gli anni della loro vita nell’Opus Dei e lavorato al suo servizio, e nel caso che abbondonino l’istituzione avrebbero diritto alla contribuzione previdenziale per tutti gli anni lavorati, che permetta loro di accedere a una meritata pensione. Inoltre, se le cacciano dal loro lavoro per il fatto di non appartenere più alla Prelatura, questo è un licenziamento illegittimo e, di conseguenza, hanno l’obbligo legale di indennizzare il lavoratore. Ma anche di questo si disinteressano.
Se ne vadano o no dall’Opera, bisognerebbe comportarsi così per rispetto delle leggi, per giustizia sociale, per carità cristiana e per il buon senso che dovrebbe caratterizzare un’istituzione che dichiara di operare a fin di bene.


2.     I SACERDOTI

In maniera diversa dagli altri lavori interni, che sono imposti come volontà di Dio al soggetto, il rispetto del sacramento dell’ordine permette un’eccezione, e invece di una imposizione si fa una proposta a coloro che l’istituzione destina al sacerdozio: Il padre ha pensato a te per il sacerdozio, sei disponibile?
È vero che c’è libertà, ma è risaputo che nell’Opera è inculcato a fuoco che è di cattivo spirito non agire ad mentem Patris.
È proprio curiosa questa domanda, perchè i sacerdoti della Prelatura, come gli altri Numerari, possono pitare (chiedere l’ammissione all’Opus Dei), fra le altre cose proprio perchè non manifestano interesse né inclinazione al sacerdozio. Esistono abbondanti prove e testimonianze di ciò. Cioè: Dio non li chiamava per questa strada. Ma dopo non pochi anni, appena terminati gli studi finalizzati all’esercizio della professione, quella nella quale avrebbero dovuto santificarsi, grazie all’imposizione del dito del Prelato, in poco tempo e senza spazio per un dovuto discernimento vocazionale, né per per una lunga ed ampia preparazione sacerdotale, un giorno si trovano rivestiti di nero e col sacramento in aeternum dell’ordine. Perchè le necessità dell’Opera così esigevano ed il Prelato l’ha deciso.

Tutti i sacerdoti diocesani –l’Opus Dei dice che i suoi sacerdoti sono secolari- godono di uno stipendio che amministrano personalmente e liberamente, e anche delle relative assicurazioni sociali. La diocesi veglia su di essi e li protegge. Se si secolarizzano, anche.
Ma l’Opera no. L’Opera ha a suo tempo insegnato ai suoi che se se ne vanno restano senza alcun diritto ad un aiuto economico.
I religiosi, godono anch’essi di un loro sistema di pensioni. Inoltre, se qualcuno lascia l’abito, non manca mai una proposta giusta e caritatevole dei superiori con ragionevoli offerte di alloggio, lavoro, denaro...
Ma nell’Opus Dei, siccome non sono religiosi, agire in questo modo li farebbe somigliare a loro, qualcosa di impensabile.
Certo è che in Spagna, a partire dall’anno 2007, si è iniziato a pagare i contributi ad alcuni sacerdoti, ma solo a coloro che per l’età avrebbero poi potuto godere di una pensione.

Sono molti i sacerdoti numerari che hanno scelto, per motivi diversi, di abbandonare la Prelatura e incardinarsi in una diocesi.
Non hanno mai percepito salario per aver lavorato per l’istituzione, e se qualcosa hanno guadagnato per lavori esterni, lo hanno consegnato con buono spirito.
La maggioranza non ha nessuna contribuzione previdenziale, e sono quindi scoperti riguardo alla pensione. I superiori della Prelatura preferiscono che in questi casi sia la diocesi ricevitrice quella che pensi a coprire in tutto o in parte la pensione che lo Stato non darà loro.
A questi sacerdoti non resta altro che confidare nella sollecitudine e nella carità della Chiesa. Così agiscono quelli che dicono di servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita.

3.     DIRETTORI LOCALI A TEMPO PIENO
Un servizio all’Opera contrario allo spirito specifico

Un bel giorno ti comunicano che cambi lavoro, che devi dare le dimissioni dalla tua attività, disfarti del tuo ufficio, smantellare quello che hai costruito ... e partire quanto prima per prendere in carico un certo lavoro in qualunque città del mondo.
Non ho mai visto che un Direttore abbia una nomina né che gli si paghi un’assicurazione sociale. Non è mai successo.
Perchè? Perchè l’Opera tralascia di adempiere ai suoi obblighi adducendo come argomento il paragone di un padre di famiglia che si dedica ai suoi.
Certamente sarebbe un problema far loro un contratto adeguato alle circostanze, dato che si tratta di un lavoro così particolare che non è previsto dal sistema! La loro professione, in realtà, sarebbe: “direttore di anime, gestore di lavori apostolici e inventore di vocazioni”.
Nuovamente, come sempre, non somigliano a nulla. Tutto lì è atipico, nulla si trova sotto il controllo civile né ecclesiastico.


4.     I DIRETTORI REGIONALI O CENTRALI


Sono coloro che han cura che le persone e gli apostolati seguano il corso previsto e che vengano osservate le indicazioni di governo. Studiano le statistiche che ricevono sulle persone e il loro proselitismo. Redigono nuovi documenti che regolano la vita spirituale e materiale delle persone. Inviano molte richieste di pareri al Consiglio Generale o al Prelato, dato che abitualmente hanno potere di gestire solo fatti di ordinaria amministrazione.
In realtà, molti di loro nemmeno si rendono conto di tutte le trame dell’Opus Dei.
Quando abbandonano il lavoro come Direttori, sono soliti ricevere un trattamento di favore. Se per ragioni ovvie non si potranno reinserire in un’attività professionale, l’Opera si fa carico di trovar loro un buco qualsiasi in uno dei coseddetti lavori apostolici.
Se non sono caduti in disgrazia per aver osato pensare liberamente, di solito trovano risolto il problema della loro vecchiaia.


5.     LE AMMINISTRATRICI
La frode del corso di laurea in Scienze Domestiche è un delitto

Escrivá concepì sempre la donna come padrona di casa, e secondo tale concezione hanno agito per anni le Numerarie. Dato che questo non risultava essere d’accordo  con la chiamata nel mezzo del mondo, alcune Numerarie cominciarono a lavorare fuori di casa, e così le si indicava come esempio di secolarità.
Logicamente, il desiderio di svolgere la propria professione si estese in modo tale che si cominciò ad avere una grande scarsità di Amministratrici, cosicchè ci si dovette inventare un trucco.
Il trucco consisteva nel simulare un corso di laurea che chiamarono Scienze Domestiche, facendo credere alle studentesse e alle loro famiglie che fosse equiparato agli altri corsi universitari che dipendevano dall’Università di Navarra.
L’Università di Navarra non emise mai il titolo corrispondente.
Una grossa frode che fu all’origine di molti dispiaceri e problemi.
Un altro argomento usato per captare Amministratriciera quello di un maggior servizio all’Opera: l’apostolato degli apostolati per donne selezionate.
Dai governi regionali arrivavano i nomi delle persone che avrebbero potuto essere indotte a questo tipo di lavoro, e come per il proselitismo, per le direttrici dei centri era sempre un obiettivo raggiungere il numero di studentesse di Scienze Domestiche che i bisogni dell’Opera richiedevano.

Le Amministratrici neppure hanno, di solito, né contratti di lavoro né assicurazioni sociali. Negli ultimi anni, viene loro proposto di sottoscrivere un’assicurazione privata per garantire la loro pensione. La cosa abituale è che l’Opera concerti queste assicurazioni con proprie assicuratrici.
Se vanno via dall’Opera, restano senza studi (benchè le loro famiglie abbiano pagato per un un corso universitario presso l’Università di Navarra), e la maggior parte di loro, senza assicurazione sociale, o almeno senza versamenti per un lungo numero di anni, ragion per cui non riescono a raggiungere il numero minimo di versamenti per acquisire il diritto alla pensione.
E, naturalmente, tutte restano senza lavoro.



6. GLI UFFICIALI
Un emporio nascosto

L’organizzazione disorganizzata dell’Opus Dei ha bisogno di molta manodopera, di molti ufficiali, come loro li chiamano, per far quadrare tutto e per mantenere un’immagine di alto livello.
Annessi a tutte le sedi dei governi di qualunque livello (delegazioni, commissioni, assessorati, governo centrale) ci sono grandi edifici di uffici, oltre ad altri locali più independenti, come studi di avvocati, sedi di associazioni, ONG, etc., dove si gestiscono le finanze, si studiano le forme giuridiche convenienti, si promuovono associazioni, si progettano collegi e università.
Insomma, sono moltitudini i Numerari che si dedicano professionalmente a lavorare come ufficiali in compiti burocratici.
Queste persone non governano, ma lavorano come consulenti, come contabili, come amministrativi.
Come per gli altri lavori interni, non ci sono né contratti né assicurazioni sociali. Anche il licenziamento è rapido e arbitrario.
In genere, sono in possesso di abbondanti informazioni. Nelle loro mani passa il traffico delle coscienze delle persone, compresi gli aspetti economici. La loro designazione professionale è a dito, e le caratteristiche richieste più importanti sono la prudenza, la discrezione e il silenzio.
Per questo la prelatura esige loro un impegno esplicito al silenzio.
Come si può immaginare, il numero di burocrati che l’Opus Dei utilizza per il suo lavoro e per i suoi interessi è molto alto.
Bel regalo si troveranno, al momento di andarsene, coloro che hanno contribuitoin silenzio col loro lavoro al buon andamento dell’organizzazione dell’Opus Dei!

7. ALTRI LAVORI DIPENDENTI DALLA PRELATURA

Oltre a quanto già citato, potremmo identificare un alto numero di persone che, senza dedicarsi formalmente a quelli che abbiamo chiamato lavori interni hanno molto a che vedere con essi, e ne escono pure gravemente pregiudicati: sono coloro che lavorano nelle Opere Corporative, oppure in qualcosa di molto simile che si è soliti designare come Lavori personali.
L’unica differenza fra le une e gli altri consiste nel fatto che le seconde, per motivi pratici ed economici, operano sotto la denominazione di enti di diritto civile. Continua a dirigerle l’Opus Dei, ma la responsabilità ricade sugli enti e sul personale direttivo.
In ogni caso queste società sono promosse dall’Opus Dei e governate dall’Opus Dei per mezzo dei suoi Direttori, ed è sempre l’Opus Dei che chiama, scegliendoli fra le sue fila, coloro che saranno dirigenti o addetti.
Per mezzo della posta interna e di riunioni di Direttori dell’Opera, si informa e si seguono direttive, e gli addetti a tali Lavori si debbono sottomettere ai dettami dei Direttori dell’Opera. Se sorge qualche problema, è sufficiente dimetterli.
Le persone che lavorano nei Lavori personali normalmente hanno un contratto di lavoro, ma è pur vero che, secondo quanto essi stessi raccontano, le loro condizioni lavorative ed economiche sono penose, oltre ad avere il carico e la pressione di raggiungere gli obiettivi di proselitismo che vengono imposte periodicamente, e della quali debbono rendere conto.
Normalmente, intraprendono questa attività per desiderio della Prelatura, e allo stesso modo dovranno interrompere l’attività nel momento che sorga il minimo conflitto o per la mancanza di rendimento proselitistico, o per la manifestazione di opinioni autonome, o per il fatto di non essersi assoggettati a determinate imposizioni. Questo avviene specialmente se il lavoratore chiede di uscire dall’Opus Dei.

Non si può non riconoscere che si verifica un’enorme ingiustizia se chi, specificamente ed in nome di Dio, ti chiese una volta che ti dedicassi professionalmente ad un Lavoro personale sapendo che ciò significava abbandonare il tuo lavoro abituale e che quindi non avresti potuto continuare a crescere in quello, col passare del tempo decide di licenziarti senza cercarti un’alternativa, un aiuto o una soluzione.


8. Potremmo aggiungere all’elenco che precede una costellazione di enti di diritto civile, ma creati e diretti dai direttori dell’Opus Dei, come Gestorìa (vendita e distribuzione di alimenti per i centri), Incodesa (impresa dedicata all’arredamento e alla decorazione dei centri), reti di librerie, come la catena Troa, studi di avvocati, società editrici, etc.

Non è difficile fare un calcolo approssimativo del numero di persone che dopo aver abbandonato il lavoro interno si sono viste danneggiate sul piano lavorativo ed economico.

Partendo dalla nostra esperienza, possiamo far conto su dati sufficienti per trarre alcune conclusioni che lasciano attoniti: l’80% dei numerari lavorano per l’Opera. Se pensiamo che l’indice dei numerari che abbandonano l’Opus Dei, dopo pochi o molti anni, si aggira intorno al 95%, immaginiamo quanti danni ha prodotto e produce questa istituzione.

Mi scandalizza pensare che un’istituzione della Chiesa venga meno in modo così grave ai doveri di carità e di giustizia sociale con i propri membri. Che abbiano così poco a cuore le persone. Che le usi in questo modo per il proprio tornaconto. Che non rispetti le più elementari leggi dello Stato in materia di lavoro e i diritti dei lavoratori.
Nel corso della storia umana vi sono state varie forme di schiavitù, ma che in pieno XXI secolo, e nella Chiesa, continui a verificarsi questo fenomeno di sfruttamento in nome di Dio, risulta intollerabile.

Chi firma questo articolo parla con la conoscenza diretta di chi è stato quarant’anni nell’Opus Dei, la gran parte dei quali dedicata a incarichi di direzione e formazione.
Nell’abbandonare l’Opus, ho chiesto l’aiuto materiale di cui avevo bisogno per vivere. Alla fine, sotto la spinta delle mie denunce alla Chiesa e del ricorso che stavo per proporre dinanzi al Tribunale, mi hanno offerto una somma di denaro purché ritirassi il ricorso.
Sono testimone diretto e vittima della maggior parte delle pratiche irregolari che qui denuncio, e ne darei conto con molto piacere alle autorità ecclesiastiche.

Madrid, 1 novembre 2010



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