"Opus Dei, il segreto dei soldi" di Angelo Mincuzzi e Giuseppe Oddo


All'inizio degli  anni 2000 il noto finanziere milanese Gianmario Roveraro, insieme al faccendiere Franco Todescato, al complice Fabio Gnudi e all'amico Filippo Botteri (che acquista da Roveraro il 50% della Eds, società domiciliata a Londra), si imbarca in una misteriosa operazione finanziaria internazionale – il cosiddetto “Affare Austria” -  che fallisce e lo porta alla morte.
Nel 2006, infatti, viene assassinato dallo stesso Botteri e, nonostante l'iter processuale si sia concluso con la condanna in via definitiva degli assassini, restano irrisolte e inevase alcune questioni, ad oggi ancora oggetto d'indagine. 
La vicenda, già esaminata da Franco Stefanoni (“Il finanziere di Dio”), è ben descritta nel recente libro “Opus Dei, il segreto dei soldi”, di Angelo Mincuzzi e Giuseppe Oddo, edito da  Feltrinelli.
L'indagine condotta dai due giornalisti amplia i contorni di questa tristissima storia (Roveraro è stato ucciso con un colpo di pistola alla nuca, successivamente il suo corpo è stato sezionato in sette parti con un machete) per cui, nell'ambito di un'inchiesta condotta dalla magistratura su un'operazione finanziaria in Svizzera, emergono persone vicine alla Prelatura dell’Opus Dei.
È a Lugano che nasce l'architettura societaria dell'operazione austriaca, ed è  sempre in terra elvetica che Roveraro telefona mentre è prigioniero nel casello idraulico di Albareto, tra il 5 e il 7 luglio 2006. Dai tabulati Skype risulta che  Roveraro ha effettuato ben 43 chiamate a conoscenti e familiari,  diciassette delle quali indirizzate al  cosiddetto “mago delle scatole cinesi”, Federico De Vittori, al quale  chiede 10 milioni di euro. Il giorno successivo gli viene invece richiesto 1 milione di euro. Risulta sconcertante il fatto che, in questi giorni, il nome di De Vittori, in carcere da un anno e mezzo per appropriazione indebita, sia spuntato anche nell'inchiesta sull’ospedale San Raffaele di Milano. I magistrati sono arrivati a lui per seguire le tracce di denaro proveniente dai conti correnti dell'Aispo, l'Associazione internazionale per la solidarietà tra i popoli, nata per ispirazione della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor e dell'Associazione Sigilli, i figli spirituali di don Luigi Maria Verzè, fondatore del San Raffaele.  I soldi provenienti da quei conti sono stati bonificati a società domiciliate nello studio di De Vittori, il fiduciario svizzero. Gli inquirenti si chiedono se i soldi depositati sui conti dell'Aispo siano frutto di distrazioni a danno dell'ospedale. 
Il racconto si snoda attraverso le testimonianze che i due giornalisti hanno raccolto da amici o  persone  della Prelatura, che a vario titolo e in  diversi momenti conobbero il finanziere. Non è stato facile raggiungere questi contatti, perché molti di loro (dalla famiglia Roveraro, all'ex amministratore delegato dell'Ifil Mario Gaffarro, al socio nella Yard Gianfranco Navone, sino all'ex presidente della Ras Umberto Zanni)  hanno innalzato un muro di silenzio. L'Avvenire di Dino Boffo è il primo quotidiano a dare la notizia della scomparsa del finanziere, ma omettendo il nome di Roveraro. Riserbo o paura di compromettere le indagini?

Interessante è la mappatura immobiliare descritta nel capitolo “La sacra rete”, che permette una stima -  ancorché approssimativa - della ricchezza opusiana milanese, per cui il valore degli immobili riconducibili alla prelatura risulterebbe essere stimato tra i 300 e i 400 milioni di euro. Solo a Milano, appunto. In particolare gli autori analizzano la struttura azionaria, alquanto opaca, della società ADIGI Srl, che controlla gran parte di questi immobili. La mancanza di trasparenza nasce dal fatto che accanto alle partecipazioni azionarie minime di persone fisiche (rigorosamente appartenenti all'Opus Dei) convivono fondazioni e associazioni (con quote nettamente maggiori) che – per loro natura – non hanno azionisti né obbligo di deposito del bilancio.

Perché Gianmario Roveraro continua, negli anni, a trattare con persone di malaffare? Sappiamo che sull'operazione Austria inizialmente nutriva dei dubbi. Tra i protagonisti di tale affare c'era anche l'ingegnere romano Giuseppe Maffei, a sua volta presentato da un numerario dell'Opus Dei. Per avere un parere lo presenta infatti a Paolo Gualtieri, professore di Economia degli Intermediari Finanziari. Roveraro e Gualtieri si scambiano impressioni negative, ma il finanziere si lascia ugualmente coinvolgere nell'operazione.

Dopo aver preso atto di questa terribile vicenda resta il dubbio sull'opportunità di una spiritualità del lavoro, quella dell'Opus Dei, che tenta di conciliare la santità con il potere e la ricchezza materiale.  Proprio laddove Escrivá ha voluto individuare il cardine della sua spiritualità – ossia la santificazione del lavoro ordinario – si innesta il tradimento di un' etica del lavoro che i membri dell'Opera sono chiamati a testimoniare nel mondo. Evasione fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, riciclaggio, scarsa trasparenza societaria, violazione delle norme previdenziali, distrazione di capitali all'estero, sfruttamento del lavoro, violazione dei diritti: questi gli “umani limiti” di chi, da cattolico, si impegna a testimoniare il Vangelo di Gesù.
La dicotomia tra fede e opere che caratterizza i movimenti cattolici nei tempi più recenti, pone una questione ancora irrisolta all’interno del dibattito teologico contemporaneo; nel 1963 l’illustre teologo Hans Urs von Balthasar, nel noto articolo intitolato “Integralismus”, cita l’Opus Dei, “la più forte concentrazione di potere nella chiesa”, per dire che l’integralismo lavora di nascosto con lo scopo di celare situazioni di potere terreno. Nel 2004 esce un libro dal titolo “Denaro e Paradiso. L’economia globale e il mondo cattolico” il cui noto autore, economista e banchiere nonché membro dell’Opus Dei e oggi presidente dello IOR, Ettore Gotti Tedeschi, vuole convincerci che il cattolicesimo non è mai stato contro le leggi del marcato.
Roveraro, intervistato nel 2004 sul caso Parmalat, da Giuseppe Oddo e Angelo Mincuzzi, alla domanda su come Tanzi, cattolico e devoto, abbia potuto perpetuare reati così gravi, risponde: “Era un uomo che faceva del bene, capace di gesti generosi, di beneficenze consistenti. Eppure ha truffato, ha truccato i conti, ha preso in giro tutti”. Roveraro cioè non risponde. Avanza un'improbabile ipotesi di schizofrenia che non convince nessuno.


Emanuela Provera

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